“MEDITATE CHE QUESTO È STATO” Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.
Le parole di Primo Levi (“Se questo è un uomo”, 1947) testimone dell’orrore della Shoah e sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, sono state recitate questa mattina dalle studentesse Martina Maroni, Zoe Marsili e Nicole Romani (Redazione Blog), in filodiffusione, affinché il messaggio giungesse, con tutta la sua forza, all’intera comunità scolastica dell’Istituto Capriotti, risuonando all’interno di ogni aula e corridoio. La lirica si apre con un’apostrofe diretta ai lettori, chiamati alla riflessione sul contrasto tra la loro vita sicura e quella disumana del Lager, caratterizzata da sofferenze fisiche, la fame, la sete, la fatica, le percosse, e da sofferenze psicologiche, la privazione di ogni oggetto personale, della libertà, dell’identità, della maternità, la nudità e la tosatura dei capelli, che eliminano la dignità e l'umanità, “perché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso”. Tema fondamentale è quello del ricordo, necessario per tenere viva la memoria di quanto accaduto. Si tratta di un comandamento morale. Nessuno può sottrarsi. Proprio per questo motivo il poeta fa uso di immagini forti, di un tono perentorio e di uno stile essenziale, attraverso i quali ci mostra la disumana follia del progetto nazista, tramite un punto di vista dotato di straordinaria lucidità. Ordina a ognuno di noi, con forza e decisione, tramite l’uso degli imperativi, di custodire il suo racconto e di fare in modo che non venga mai dimenticato, scagliando una maledizione contro chi si rifiuterà di tenere viva la memoria di quanto accaduto e mostrando, così, il ruolo indispensabile del ricordo. Proprio per questo motivo oggi, 27 gennaio, si celebra la Giornata della Memoria, per non dimenticare le persecuzioni e lo sterminio subiti dal popolo ebraico e da tutti i deportati nei campi nazisti. La data è quella in cui, nello stesso giorno del 1945, l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz: 2 500 000 vittime uccise con il gas e 500 000 esseri umani morti in seguito ai lavori forzati. Nel 2000 l’Italia, con la legge n. 211, ha istituito il Giorno della Memoria, “al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte”. Ricordare, infatti, è un monito contro ogni odio razziale, etnico e religioso, è un dovere nei confronti di un popolo vittima di un folle progetto di sterminio, è un obbligo nei confronti delle nuove generazioni, affinché non siano indifferenti e non permettano che un simile orrore possa accadere nuovamente, perché senza memoria del passato non può esserci speranza per il futuro. |