ISTITUTO D'ISTRUZIONE SUPERIORE - AUGUSTO CAPRIOTTI
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Il giovane “poco” favoloso.
Scritto da Massimo Scarponi   
martedì 04 novembre 2014

Recensione del fi lm di M. Martone

Coraggioso tentativo del regista Mario Martone di avventurarsi nel favoloso mondo di Giacomo leopardi.
La voce narrante all’inizio del film ci introduce nella casa di famiglia, presentandoci garbatamente i personaggi/maschere della blasonata casata. Il rischio di incorrere in una rappresentazione di costume, in una teatralità da commedia in maschera, era altissimo e forse non del tutto evitato: il padre colto e austero, la madre algida e bigotta, l’istitutore retorico, lo zio reazionario; l’affettuosa solidarietà fraterna dei figli difende la naturale attitudine infantile al gioco, al sogno e alla libertà.
Fuori delle finestre del palazzo c’è il mondo esterno, vicino e lontano. Martone si interessa solo del primo, in una rappresentazione di vita popolare un po’ oleografica, pittoresco scorcio da presepio (forse viene naturale ad ogni napoletano) con gli artigiani all’opera e con le scene di vita quotidiana (facile citazione di noti versi del poeta). Vicino è anche “Silvia”, inconsapevole allegoria dei sogni dell’adolescenza, resa con opaca personalità dall’attrice e con “fugace” attenzione del regista.  

Un po’ più riuscita l’ambientazione popolare napoletana (i quartieri bassi, la discesa agl’inferi nel postribolo, la giornata di libertà tra i gagliardi giocatori di pallone). Sicuramente la realtà è quella che interessa di più  il cineocchio del regista, registrando l’eccitazione “vitalistica” di leopardi per tutto ciò che è vero, autentico, a lui disperatamente precluso.
Si colgono così i dettagli anatomici dei corpi, dalla deformazione fisica alla malattia alla morte (anche se con i morbidi toni cromatici di una fotografia di costume popolare).
Ciò che manca è la proiezione dell’animo del poeta verso un’ impossibile realtà ideale (l’eroismo sognato, poi sempre più urlato e disperato), verso un altrove che acuisce la sua sensibilità, pronta a percepire “idillicamente" immagini e suoni e a stimolare una riflessione filosofica sui grandi temi dell’esistenza.
In questo non è bastata qualche scolastica citazione poetica o un’inquadratura dell’infinito cielo stellato.
Sembrerà strano, ma in questo film è mancata la poesia, forse anche “il poeta”.
Il pensiero va a grandi maestri del passato (penso a Pasolini e Visconti): il primo avrebbe potuto esprimere con poetico “verismo” il linguaggio dei corpi; il secondo sarebbe stato impareggiabile nell’esaltare la spiritualità e i turbamenti dell’animo del poeta.
Giacomo Leopardi non è solo un classico della letteratura italiana (maltrattato scolasticamente), ma un mito dell’adolescenza e, come tale, ogni tentativo di rappresentarlo rischia di essere solo una coraggiosa approssimazione.
Restano ottime le prove degli attori principali, su tutti Elio Germano (che dà voce e corpo al protagonista), ormai un valore assoluto del cinema italiano, ma anche di Michele Riondino, che ha valorizzato l’amicizia di Antonio Ranieri.

 
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