ISTITUTO D'ISTRUZIONE SUPERIORE - AUGUSTO CAPRIOTTI
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Il Berretto a Sonagli
Scritto da Alice Galasso 5 B Linguistico   
lunedì 17 novembre 2014

Il Berretto a Sonagli: i riflettori del Concordia su Pirandello, per gli studenti

 Si è aperta in bellezza la stagione teatrale di quest’anno scolastico all’IIS Capriotti con un audace “Berretto a Sonagli” (dal titolo originale A birritta cu' i ciancianeddi) di Luigi Pirandello. Sicuramente stimolante dal punto di vista delle tematiche trattate, lo spettacolo dello scorso lunedì  ha costituito per noi studenti un momento di intrattenimento e di riflessione.  Il messaggio che il grande drammaturgo ha voluto trasmettere tramite la sua opera a tinte forti sortisce sicuramente in uno spettatore attento – data la complessità dell’intreccio – un effetto dirompente per l’innegabile coesione con il contesto attuale in cui viviamo. L’ipocrisia della società che emargina i deboli, che detta delle imposizioni, spesso porta all’omertà che cela anche delitti gravi per mantenere intatta l’integrità delle apparenze…  Non sono forse piaghe che affliggono il nostro presente?
La protagonista, Beatrice Fiorica, incarna perfettamente lo stereotipo della moglie del piccolo borghese. Tuttavia, sin dall’apertura del sipario, realizziamo che in realtà questa donna seduta al centro del palcoscenico, le mani che coprono il viso piangente e che affondano tra i capelli ben pettinati, è dilaniata, tormentata, in preda alla disperazione – sentimenti del tutto discostati dai suoi capricci di natura materiale come “la collana con i pendenti” e “gli orecchini”. Intorno a lei vi è l’oscurità più totale: è la solitudine, l’abbandono in cui versa “il pazzo”. Non che sia affetta da infermità mentale vera e propria, anzi; nella sua cieca gelosia mantiene una certa lucidità, essendo perfettamente a conoscenza dell’infedeltà del marito. Viene, tuttavia, ammonita dal Ciampa -scrivano di famiglia, nonché coniuge dell’amante - per i suoi eccessi d’ira con questo discorso che rappresenta il fulcro dell’opera:

“… Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa.
Con la mano destra chiusa come se tenesse tra l'indice e il pollice una chiavetta, fa l'atto di dare una mandata prima sulla tempia destra, poi in mezzo alla fronte, poi sulla tempia sinistra.
La seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati. Non si può. Io mi mangerei per modo d'esempio il signor Fifì. Non si può. E che faccio allora? Do una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con cera sorridente, la mano protesa: «Oh quanto m'è grato vedervi, caro il mio signor Fifì!». Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s'intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!”
Nonostante il richiamo al “contegno” e alla moderatezza, la donna imperterrita denuncia il marito che, colto in flagrante, viene arrestato insieme all’amante. A questo punto, quando l’intreccio sembra volgere al meglio, veniamo sorpresi da un colpo di scena: il signor Fifì (fratello di Beatrice), Ciampa e il vicecommissario di provincia Spanò (delegato che si è occupato del caso) di comune accordo decidono di smentire le accuse nei confronti dei due colpevoli e di dichiarare apertamente la follia della protagonista. Una volta ancora questa si trova sola, smarrita di fronte alla negazione di una tale evidenza in nome dell’onore della famiglia e vediamo il personaggio fluttuare ed agitarsi in mezzo agli altri, divenuti statuine immobili ed insensibili. Improvvisamente, però, sembra presa come da un attacco di gioia, da un immenso sollievo: essendo creduta folle, ora può finalmente esternare la verità, spogliarsi della maschera imposta dai dettami della società meschina. E’ questo il senso ultimo del berretto a sonagli, quel copricapo caratteristico dei giullari che non debbono curarsi di dichiarare apertamente i propri pensieri né di sfoggiare la propria “corda pazza”.

 

 
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