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Segre a Casa Memoria Servigliano
Scritto da prof.ssa Chiara Bellabarba   
venerdì 03 maggio 2019

Liliana SegreIl 23 aprile ero ad attendere Liliana Segre come tanti al comune di Servigliano. Fin dalla prima volta che ho ascoltato la sua testimonianza nel video “Volevo solo vivere” di Calopresti, diversi anni fa, ho avvertito che era una donna speciale.

E il mio pensiero infinite volte, da quel giorno, è tornato a lei.

Questa mattina l’aspettavo trepidante seduta nell’ultima fila, vicino all’ingresso. Quando ho capito che stava per arrivare, mi si sono riempiti gli occhi di lacrime.

Finalmente potevo incontrarla da vicino. Era come se un pezzo del passato si stesse materializzando davanti ai miei occhi, come se le forti emozioni da me provate leggendo documenti e libri di storia sugli orrori della Shoah prendessero di nuovo forma.

Fra gli applausi della folla, questa donna speciale, simbolo di coraggio e di una forte determinazione alla vita, ha fatto il suo ingresso in sala. Con un sorriso dolce appena accennato e la chioma bianchissima, si è fatta strada stringendo qua e là le mani dei presenti. Attraverso il mio sguardo sfocato dalla commozione ho cercato di seguire ogni suo passo fino a quando ha raggiunto il palco, dove si è seduta accanto ad una platea di bambini.

Dopo le note della colonna sonora di “Schindler’s list”, suonata al violino e al pianoforte da due giovani studentesse, la sua voce ha rotto il silenzio e le nostre attese.

Attraverso il ricordo di alcuni frammenti della sua vita, Liliana Segre ha tessuto la trama di una testimonianza particolarmente significativa che ha intersecato i fatti della storia ufficiale, rendendo quest’ultima ancora più “reale”.

Sul fondale della sua memoria, indelebile il ricordo dell’amatissimo padre e di quanti come lui sono stati resi cenere dalla logica del male, per l’unica colpa di esser nati; inoltre l’immagine di quella porta della scuola elementare chiusa per lei che era ebrea, dopo le leggi razziali del ‘38. Poi, dopo l’esperienza al campo, il ricordo della sua incapacità di piangere insieme alla paura di non saper più amare e la traccia di un peso costante per essersi salvata a differenza di chi ne era uscito sconfitto.

Salvifico l’incontro, in seguito, con un ragazzo speciale sulla spiaggia di Pesaro. In mezzo ad un mondo distratto che sembrava ancora non voler capire quello che era stato, lo sguardo di quel giovane era caduto sul numero che lei aveva impresso sul braccio sinistro. E lui fu capace di riconoscere in lei la sua vera identità, quella di chi aveva vissuto l’inferno. In quel momento quei due ragazzi dalle vite violentate iniziarono a parlare la stessa lingua e ad amarsi per non lasciarsi più, facendo fiorire di nuovo il miracolo della primavera anche dopo il campo di sterminio.

E poi, con quella umiltà che è solo dei grandi, questa donna speciale ha denudato ancora la sua anima parlandoci di quel lungo periodo della sua vita in cui il peso dei ricordi ha avuto il sopravvento, tanto da proibire al marito di farne parola persino con i figli.

Liliana ci ha mostrato così il suo lato “umano, troppo umano”, come direbbe Nietzsche, nel confessarci di aver desiderato negli anni che seguirono di diventare una donna “normale”, una mamma e una moglie come tutte le altre.

L’oblio dei ricordi, come temporanea strategia di sopravvivenza, fino al giorno in cui dall’esser madre è diventata nonna. In quel momento speciale, Liliana è riuscita a credere ancora nel senso profondo della vita che continua nonostante tutto, attraverso le generazioni e ha avvertito il bisogno di riconquistare l’autenticità della propria esistenza attraverso il recupero della memoria. Si è incamminata così sulla strada della libertà con la consapevolezza che solo “la memoria rende liberi”.

Poi ci ha donato una delle confessioni più commoventi, quella del suo sentirsi nonna della bambina che era stata in quell’inferno e per la quale prova ancora un’infinita tenerezza.

Da trent’anni, da quando è nato il suo primo nipote, lei incontra i giovani delle scuole a cui consegna lo sforzo dei suoi ricordi riemersi e il suo prezioso messaggio di speranza. Lo scorso anno, per l’impegno profuso, Liliana Segre è stata nominata dal Presidente Mattarella Senatrice a vita. A lui che le chiedeva cosa avesse pensato, appena appresa la notizia, ha risposto: “Dopo ottant’anni da quella porta della scuola chiusa in terza elementare, si è aperta per me quella del Senato”.

Si è concluso con queste parole l’incontro speciale con la memoria di Liliana.

A me però non bastava. Dopo i saluti finali, mi sono avvicinata a lei sul palco. Non potevo non dirle quello che ho avuto nel cuore fin da quando l’ho ascoltata nel video per la prima volta. Stringendole la mano, le ho sussurrato: “Sono un’insegnante di storia. Volevo ringraziarla perché attraverso la sua testimonianza lei c’è sempre nelle mie lezioni. Ai miei ragazzi non manco mai di raccontare di quell’albicocca lanciatale dagli americani sulla strada del ritorno da Auschwitz. Lei la raccolse da terra al posto di quell’arma con cui avrebbe potuto vendicarsi di uno dei suoi persecutori che era lì di fronte disarmato. Amo ripetere ai miei studenti, attraverso le sue parole, che in quel momento si è giocata la differenza tra lei e i suoi aguzzini. Lì decise che non sarebbe diventata mai come loro. Quell’albicocca è stata per lei il sapore della libertà.” Liliana Segre mi ha guardata teneramente e ci siamo salutate. Nella mia memoria conserverò per sempre l’emozione e il ricordo di questo incontro e l’immagine di questa bambina indifesa che viene presa per mano dalla donna che Liliana in seguito è diventata, a cui chiedo idealmente di prendere per mano tutti noi e di guidarci verso un mondo migliore.

 
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